Biografia di Giulio Ruffini

Giulio Ruffini nasce il 18 luglio 1921 a Glorie di Bagnacavallo (RA), figlio unico di una bracciante agricola e di un operaio che scompare prematuramente. Il contesto provinciale nel quale cresce e lo stile di vita della madre, fatto di fatica massacrante nei campi e sacrificio casalingo, segneranno particolarmente Giulio, che nella sua attività artistica dedicherà ampio spazio al mondo rurale contadino. Frequenta le scuole tecniche, al termine delle quali inizia a lavorare, per lo più come elettricista al fianco di uno zio. Sin dai tempi della scuola dimostra un particolare talento per il disegno, che svilupperà a partire dal 1942, anno in cui Ruffini inizia a frequentare a Cotignola la Scuola di Arti e Mestieri di Luigi Varoli. Nel dopoguerra partecipa a diversi concorsi di pittura ottenendo riconoscimenti e apprezzamenti: vince il “Premio Diomira” a Milano (1951), si aggiudica il “Premio Suzzara” (1952) con l’opera Pietà per il bracciante ucciso [cat. 14], il cui tema sociale lo fa accreditare dalla critica nell’ambito del movimento realista, e ottiene il primo premio alla “Biennale Romagnola” a Imola (1953). Il 1954 è un anno cruciale per Ruffini: allestisce la prima mostra personale al Circolo di Cultura di Bologna e presenta alla XXVII Biennale di Venezia i tre oli Vasi e cestino con foglie [cat. 6], Natura morta con pane [cat. 7] e Due braccianti che riposano [cat. 28]. I successi artistici continuano nel 1955 con il premio alla “Mostra della Resistenza” di Ferrara e con gli inviti alla Quadriennale di Roma e alla mostra “60 artisti del prossimo trentennio” allestita a Prato da Carlo Ludovico Ragghianti.

Dal 1956 la frequentazione di Mattia Moreni, già conosciuto ai tempi della scuola di Varoli, porta Giulio Ruffini a sperimentare nuove forme e nuovi linguaggi; se fino a questa data la sua attività artistica si è concentrata su ritratti, nature morte e scene contadine dal sapore realista (tematica che continuerà a dipingere per tutta la vita, sia per l’intima familiarità del soggetto, sia per le richieste della committenza), dalla fine degli anni Cinquanta l’artista indaga forme di convergenza fra il linguaggio realista e le poetiche informali ed espressioniste. Questa ricerca troverà un felice esito nelle numerose Crocifissioni che si susseguono negli anni Sessanta, in un crescendo di accenti dolorosi e drammatici.

Nel 1957 diventa insegnante di “Disegno e Figura” al Liceo Artistico di Ravenna, attività che proseguirà fino al 1982. A Ravenna Ruffini dipinge vedute urbane e scene di genere che raccontano lo stile di vita cittadino; dalla frequentazione della città nasce una riflessione sulla mutazione del paesaggio da rurale a metropolitano, sulla fine della civiltà contadina e di quell’etica del lavoro e della fatica ereditata della madre. La serie degli Incidenti, cui Ruffini si dedica per qualche anno a partire dal 1964, con i suoi grovigli di corpi e lamiere e con i suoi enigmatici cartelli stradali, vuole essere una metafora del pericoloso avanzare della modernità.  

Negli anni Sessanta continuano le partecipazioni a manifestazioni nazionali: nel 1965 vince il premio cartone per mosaico “Omaggio a Dante”, mentre si aggiudica il secondo premio a Suzzara nel 1960 e nel 1967 con le opere Natura morta povera [cat. 11] e Uomo travolto (olio su tela, 1965), come pure al “Premio Silvestro Lega” di Modigliana (FC) nel 1963, e al “Premio Campigna” di Santa Sofia (FC) nel 1967 e nel 1973. Nel 1968 viene pubblicata dalla Galleria d’Arte La Bottega di Ravenna l’importante monografia curata da Raffaele De Grada che rappresenta il primo organico tentativo di storicizzazione della sua opera. 

Negli stessi anni le serie della Scomparsa della Romagna, dei Monumenti dedicatialla madre, al contadino, al poeta contadino, delle Rovine, delle Archeologie inaugurano una nuova fase di Giulio Ruffini, che dalla fine degli anni Sessanta si dedica a una ricerca intimistica introspettiva, dando vita a opere dalla forte connotazione simbolica e allegorica, in cui dato reale e ricordi convivono in atmosfere dal sapore surrealista. I protagonisti sono ancora una volta il mondo rurale e la cultura contadina, percepiti ormai da Ruffini come simboli di un mondo scomparso. Il tono malinconico di questi dipinti si trasforma in sarcasmo nei disegni e nelle incisioni, in cui Ruffini racconta satiricamente ed allegoricamente la realtà politica italiana.

Nei due decenni successivi Giulio Ruffini nella sua casa-studio di Mezzano è molto prolifico dal punto di vista artistico, tuttavia diventa più schivo ad apparire in pubblico. Tra le partecipazioni più rilevanti a partire dagli anni Settanta si ricordano la Biennale d’Arte “Città di Milano” (Palazzo della Permanente, 1971), la grande mostra “Tre artisti in Romagna: Piraccini, Ruffini, Sartelli” presentata da Francesco Arcangeli (Faenza, 1973), “Disegno e piccola scultura” (Milano, 1976), “Arte e mondo contadino” (Torino e Matera, 1980), la Biennale Nazionale di Grafica “A. Martini” (Oderzo, 1988), “Pittura in Romagna. Aspetti e figure del ‘900” (Cesena, 2001).

Da citare le mostre personali che gli vengono dedicate a Ferrara presso Palazzo dei Diamanti (1970), a Ravenna presso la Galleria La Bottega (1972), la Loggetta Lombardesca (1997) e la Biblioteca Classense (2007), a Forlì a Palazzo Albertini (2002), ad Alfonsine (2006) e a Lugo nel 2011, pochi mesi prima della sua scomparsa. 

Giulio Ruffini muore a Ravenna il 1° settembre 2011, a 90 anni.

Bagnacavallo ha dedicato a Giulio Ruffini un’antologica nel 1980 in occasione della mostra “1945-’60. Aspetti dell’arte romagnola. Folli, Ruffini, Verlicchi”, e nel 1999 ha esposto le sue incisioni, donate dall’artista stesso al Comune di Bagnacavallo nel 1989 e nel 1999. Il  Museo Civico delle Cappuccine conserva oggi 340 incisioni, 10 disegni e 5 dipinti di Giulio Ruffini.